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Data Pubblicazione 20-02-2012

Effetti della somministrazione di luteina

Molti studi clinici su ampia scala hanno dimostrato che la carenza di luteina rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo della degenerazione maculare. In questo studio si è ipotizzato che la luteina aumenti la densità del pigmento ottico. Si è valutata anche l’acuità visiva e la funzionalità maculare. Centoventisei pazienti con degenerazione a diversi stadi sono stati inseriti in una sperimentazione in doppio cieco, confrontati con placebo in parallelo. Nei pazienti trattati con luteina si è riscontrato un incremento della densità del pigmento del 27,9% contro il placebo. Dopo sei mesi di trattamento si è rilevata anche una variazione significativa dell’acuità visiva e della funzionalità retinica.

Fonte: Department of Ophthalmology, Medical University of Vienna, Vienna, Austria.


Data Pubblicazione 20-02-2012

La vitamina D ringiovanisce l'occhio

La vitamina D svolge un ruolo chiave nel sistema immunitario e può proteggere dall’invecchiamento l'occhio umano. La somministrazione di vitamina D per sole 6 settimane in topi anziani ha contrastato sensibilmente i fenomeni di invecchiamento. I topi mostrano una significativa riduzione dell’infiammazione e dell’accumulo di beta amiloide caratteristici dell’invecchiamento. Si evidenzia inoltre una significativa riduzione dei macrofagi nella retina ed un incremento della funzionalità visiva. E’ possibile quindi che la vitamina D possa proteggere anche l’uomo dalla comparsa della degenerazione maculare legata all’età.

Fonte: University College London, Institute of Ophthalmology, UK.


Data Pubblicazione 16-02-2012

Retinopatia Diabetica

Si tratta di una patologia secondaria determinata prevalentemente dal diabete mellito insulinodipendente. Come avviene per altri organi come i reni e gli arti inferiori, il diabete comporta, a lungo andare, alterazioni ed un indebolimento alle pareti dei vasi sanguigni e, di conseguenza, alcuni danni al microcircolo ematico in varie zone del corpo. I piccoli vasi che irrorano la retina possono essere pertanto soggetti a rotture, aneurismi e versamenti sierosi. Le cellule retiniche non vengono perciò adeguatamente nutrite e tendono a morire nelle zone dove il sangue non giunge più con la necessaria regolarità.

Esistono due tipi di retinoppatia diabetica:

  • Sierosa od emorragica. Risulta meno grave e più facile da controllare.
  • Proliferante. Si sviluppano disordinatamente micro-vasi sopra e sotto la retina nel tentativo di far giungere più sangue alle cellule fotorecettrici. Questa forma è più grave e più difficile da tenere sotto controllo.

La terapia si avvale di vari tipi di laser ma il controllo frequente e la stabilizzazione della glicemia rappresentano  senz'altro la migliore prevenzione.


Data Pubblicazione 16-02-2012

Cataratta

La cataratta consiste nell'opacizzazione del cristallino, la lente interna ai nostri occhi. Si tratta di una patologia tipica della terza età che oggi comunque, grazie ai notevoli progressi della scienza medica, può essere trattata con successo e completamente eliminata. I sintomi consistono in una visione annebbiata ed in una conseguente diminuzione del visus. La terapia è essenzialmente di tipo chirurgico e prevede la sostituzione del cristallino con una lentina artificiale. L'intervento può avvenire anche a livello ambulatoriale. Più complessa si presenta invece la situazione della cataratta congenita, ossia già presente alla nascita. Questi bambini spesso manifestano anche altri problemi visivi legati allo sviluppo dell'occhio. L'intervento chirurgico poi non sempre è risolutivo a causa della crescita dei bulbi oculari. 


Data Pubblicazione 16-02-2012

Glaucoma

"Il ladro silenzioso della vista", così viene soprannominato il glaucoma, una malattia dell'occhio particolarmente subdola ed insidiosa. Si presenta infatti, tranne che in poche eccezioni, Senza sintomi premonitori e soprattutto, quando si arriva alla diagnosi, spesso ha già prodotto danni purtroppo irreversibili. Consiste essenzialmente in un innalzamento della pressione oculare, da non confondersi assolutamente con quella sanguigna. L'umor acqueo, un liquido che riempie la camera anteriore dell'occhio, viene prodotto in quantità superiore al necessario oppure, ma l'effetto non cambia, non viene smaltito adeguatamente in uscita. Aumenta dunque la pressione e, come quando si gonfia un palloncino, le pareti oculari vengono compresse ed alcuni organi delicati, come la retina ed il nervo ottico, ne risentono negativamente. Esistono essenzialmente due forme principali di glaucoma: quella "ad angolo aperto", meno grave ma asintomatica e quella "ad angolo chiuso" che può dare forti dolori e sulla quale occorre intervenire con sollecitudine.  Come combattere allora questo "ladro silenzioso"? Semplicemente misurando la pressione oculare, detta anche "tono", almeno una volta all'anno dopo i quarantacinque anni di età. Questo è infatti il periodo della vita in cui il rischio di contrarre la patologia aumenta considerevolmente. La tonometria, questo è il nome dell'esame, non è dolorosa e viene realizzata solitamente dagli oculisti nelle normali visite di controllo. Se si arriva ad una diagnosi di glaucoma bisognerà poi tenere costantemente sotto controllo la malattia e contenerla attraverso la somministrazione di particolari colliri. La terapia dunque dovrà essere applicata per tutta la vita. Nei casi più gravi sono possibili anche taluni interventi chirurgici.


Data Pubblicazione 16-02-2012

Sindrome di Usher

Una doppia disabilità sensoriale, visiva ed uditiva, questo è il risultato prodotto dalla Sindrome di Usher, una patologia rara e senza dubbio particolarmente grave. Non vedere e non sentire infatti significa, nella realtà, essere quasi completamente isolati dal mondo esterno. Diventano pertanto  assai difficoltose le relazioni interpersonali ma, nonostante ciò, non sono poche le persone che, pur essendone afflitte, riescono comunque a condurre una esistenza piena ed integrata. Il nome della sindrome deriva dall'oculista scozzese Charles Usher che la identificò e descrisse intorno alla metà del XIX secolo. In genere i problemi uditivi si manifestano prima rispetto a quelli visivi. L'origine di questa affezione, che si calcola colpisca in Italia circa 3.000 persone, va ricercata senz'altro a livello genetico. In realtà i due organi coinvolti dalla degenerazione, la retina e la coclea, sono entrambi costituiti da cellule nervose piuttosto simili fra di loro. Essa si trasmette in modo autosomico recessivo e quindi, se entrambi i genitori risultano portatori sani, avranno il 25% di probabilità di generare figli malati. Il problema è che non sempre è possibile identificare con certezza i portatori sani. Gli esperti hanno classificato la Sindrome di Usher in tre sotto-categorie. Quella di tipo uno, la più grave, si manifesta con una sordità profonda fin dalla nascita mentre il declino della vista avviene progressivamente a partire dall'infanzia. Spesso compaiono anche disturbi dell'equilibrio dovuti ad anomalie dell'orecchio interno. Il secondo tipo risulta, per fortuna, meno grave: la sordità non è assoluta mentre la retinite pigmentosa, che causa la perdita della vista, compare dopo l'adolescenza e progredisce più lentamente. Esiste infine una terza forma della malattia, diffusa quasi soltanto in Scandinavia, dove anche il deficit uditivo è progressivo così come la retinite pigmentosa. Fatta però questa breve carrellata di presentazione scientifica, penso che qualcuno possa legittimamente incuriosirsi su come si riesca a comunicare con coloro che non sentono e non vedono. Naturalmente, per fortuna, non sempre la minorazione raggiunge l'assoluta cecità e sordità. Anche per i più sfortunati esistono però metodi che consentono un contatto, magari più lento e difficoltoso, ma reale.  Chi ha appreso, ad esempio, la Lingua Italiana dei Segni (L.I.S.) perchè prima vedeva, ha la possibilità di adottare un sistema tattile di questo linguaggio. Toccando le mani che si muovono si riescono ad interpretare i concetti espressi in un discorso. Chi invece non ha imparato la L.I.S. ha a disposizione l'alfabeto "Malossi". Si tratta di un metodo nel quale si indicano, con piccoli tocchi o pizzichi, le lettere posizionate su ben determinati  punti del palmo della mano. Non è comunque una vita facile quella del sordo-cieco. Attualmente purtroppo non esistono cure efficaci contro la Sindrome di Usher. Numerosi progetti di ricerca vengono portati avanti in tutto il mondo e si spera, così come per altre malattie genetiche, che nei prossimi anni siano messe a punto terapie specifiche in grado almeno di fermare il processo degenerativo.  I settori più promettenti sono quelli della bioingegneria, degli innesti di cellule staminali e delle possibili terapie genetiche.


Data Pubblicazione 16-02-2012

Maculopatie

La degenerazione maculare senile è una patologia altamente invalidante e sempre più diffusa nella nostra società. Si calcola infatti che essa colpisca, in modo più o meno grave, oltre il 10% degli ultrasettantenni. Le percentuali tendono poi ad aumentare ancora con l'avanzare dell'età. La macula è la parte centrale e di gran lunga più sensibile della retina. Essa è costituita da tessuto nervoso e pertanto non è in grado di ricostituirsi in caso di un suo grave danneggiamento. La malattia si presenta solitamente attraverso sintomi molto caratteristici come la visione di linee spezzate od improvvise gravi difficoltà nella lettura. Gli effetti più evidenti consistono nella perdita della capacità di leggere senza l'utilizzo di particolari ausili, nel non riconoscere i colori ed i volti delle persone che s'incontrano. Esistono due categorie molto diverse di degenerazione maculare. La forma secca o atrofica è meno grave. Progredisce più lentamente ma purtroppo è anche quella per cui persistono minori possibilità di trattamento. Attualmente si cerca di contrastarla attraverso l'assunzione di antiossidanti, vitamine ed altri integratori alimentari. Più pericolosa è invece la forma umida o essudativa. In questo caso si può intervenire per bloccare la degenerazione sia attraverso l'utilizzo di un particolare raggio laser (terapia fotodinamica), sia tramite iniezioni intravitreali di sostanze che inibiscono la proliferazione di vasi sanguigni sopra e sotto la  superficie della retina. Si può prevenire la maculopatia? Non sempre ma certamente l'adozione di uno stile di vita sano può ridurre non poco i rischi di contrarre la malattia. I ricercatori hanno infatti identificato alcuni fattori di rischio che possono aumentare le probabilità di ammalarsi. In tal senso possiamo citare il fumo, le diete troppo ricche di grassi insaturi, l'obesità e l'ipertensione arteriosa. Esiste inoltre, almeno per talune forme, una predisposizione genetica che può essere verificata attraverso un particolare test molecolare recentemente messo a punto negli Stati Uniti.   Va infine detto, onde tranquillizzare chi ha contratto la patologia, che quasi mai la degenerazione maculare porta alla cecità assoluta. Essa in genere progredisce compromettendo però soltanto la porzione centrale  del campo visivo. Si tratta certamente di una minorazione grave sul piano funzionale ma talune tecniche riabilitative, come la cosiddetta "microperimetria" possono limitarne in parte la valenza invalidante. 


Data Pubblicazione 16-02-2012

Retinite Pigmentosa

La retinite pigmentosa (RP), o "retinosi pigmentaria" secondo una denominazione formalmente più corretta, è una famiglia di patologie degenerative e di origine genetica che colpiscono la retina. Queste malattie determinano, seguendo un decorso molto variabile a seconda della tipologia, una progressiva disattivazione delle cellule fotorecettrici, ossia i coni e i bastoncelli. I principali sintomi che possono indirizzare alla diagnosi di RP sono:

  • Restringimento del campo visivo
  • Difficoltà a vedere di notte o in ambienti poco illuminati (emeralopia)

Con l'avanzare della patologia si possono manifestare anche altri effetti come una elevata fotofobia, difficoltà a distinguere i colori e problemi nella fissazione.

Appare ormai accertata l'origine genetica della RP. Essa si trasmette secondo meccanismi propri ad ogni sottocategoria, ed essenzialmente, sul piano dell'ereditarietà, può essere così classificata:

  • AUTOSOMICA DOMINANTE: Basta un solo genitore che trasmetta il gene mutato per avere il 50% di probabilità di generare un figlio malato.
  • AUTOSOMICA RECESSIVA: E' necessario che entrambi i genitori siano portatori sani del gene mutato. In tal caso vi sono il 25 % di probabilità di generare un figlio malato.
  • LEGATA AL CROMOSOMA X: Si trasmette solo dalle madri portatrici sane ai figli maschi.

Esistono anche molti casi cosiddetti "sporadici" nei quali non è possibile risalire al meccanismo di trasmissione genetica. E' comunque consigliabile sottoporre ogni malato, ed i suoi famigliari, ad una consulenza da parte di un genetista.

Non esistono attualmente terapie risolutive che possano guarire la RP. Si sperimentano tuttavia, in tutto il mondo,  numerosi trattamenti empirici finalizzati almeno al rallentamento del decorso. Non è comunque facile determinarne l'efficacia anche perchè la malattia può spesso fermarsi anche per molti anni, per poi aggravarsi improvvisamente senza apparente motivo.

In una percentuale significativa di malati la RP può essere accompagnata anche da problemi di udito più o meno gravi. Quando però la sordità precede cronologicamente il deficit visivo si parla di "Sindrome di Usher".


Data Pubblicazione 13-02-2012

Le lipofuscine possono essere eliminate dalla retina delle scimmie

Le lipofuscine rappresentano  un marker citologico dell’invecchiamento.Alti livelli di lipofuscine sono presenti in soggetti con degenerazione maculare legata all’età. In vivo, fino ad oggi, non è mai stata rilevata degradazione o esocitosi delle lipofuscine. Nelle scimmie trattate con un derivato della classe dei tetraidropiridoeteri, in 36 casi su 48, si è però rilevato un rilascio delle lipofuscine. In 4 occhi si è evidenziata la presenza di macrofagi nell’atto di eliminare le lipofuscine. Questo lavoro apre dunque la strada a possibili trattamenti che consentano l’eliminazione delle lipofuscine in eccesso dall’epitelio retinico di pazienti con degenerazione maculare senile.

Fonte: Section of Experimental Vitreoretinal Surgery, Centre for Ophthalmology, Tübingen, Germany.


Data Pubblicazione 13-02-2012

Recupero parziale della funzionalità retinica in topicon ipoglicemia

I topi con ipoglicemia manifestano sintomi di degenerazione retinica. L'induzione di una iperglicemia acuta dovuta a somministrazione di destrosio non porta però ad alcun effetto in termini di recupero della funzionalità dei fotorecettori. Ad alcuni topi, a partire dai dodici mesi di vita,  è stata invece somministrata una dieta ricca di carboidrati. Essi hanno manifestato un significativo recupero della funzionalità visiva sebbene ciò non comporti il ripristino delle sinapsi perse. Questo lavoro sottolinea la sensibilità dei fotorecettori al metabolismo dei carboidrati ed i meccanismi di compensazione attuati dall’epitelio retinico sottoposto ad ipoglicemia quando venga consolidato il ripristino dei livelli glicemici normali.

Fonte: Center for Vision Research and SUNY Eye Institute, Department of Ophthalmology, SUNY Upstate Medical University, NY.


Data Pubblicazione 06-02-2012

Retinoschisi: trattamento locale con Dorzolamide

Clinical Neurosciences Division, University of Southampton, Southampton, UK.
Questo studio inglese si è incentrato sulla retinoschisi, una rara forma di degenerazione maculare di origine genetica. Si è cercato di correlare la risposta all’uso locale della dorzolamide al ripristino della acuità visiva ed al quadro genetico di partenza. Si tratta di uno studio retrospettivo su 4 pazienti (solo però su 7 occhi). E’ stata analizzata l’acuità visiva e lo spessore della macula prima e dopo il trattamento. I pazienti sono stati curati in questo modo per un tempo medio di circa 22 mesi. La misurazione successiva dello spessore della macula ha mostrato un netto miglioramento in tutti i pazienti trattati. Ma purtroppo a ciò non è corrisposto un miglioramento dell’acuità visiva ed in alcuni casi vi è stato purtroppo anche un peggioramento. Non si è riusciti a stabilire inoltre alcuna correlazione tra la risposta al farmaco e il quadro genetico di partenza.


Data Pubblicazione 06-02-2012

Maculopatia: interazione fra C.F.H. e Malondialdeide

Centre for Molecular Medicine (CeMM), Austrian Academy of Sciences.
Alcune varianti degli alleli del fattore H del complemento(CFH)  possono essere correlate alla degenerazione maculare legata all’età. La malondialdeide, frutto della perossidazione lipidica,  pare sia un ligando del CFH e ciò spiegherebbe le basi molecolari del problema. Infatti il CFH sembra prevenire la risposta infiammatoria dovuta alla presenza di malondialdeide nella retina. Individui con una mutazione nella posizione 402 che sostituisce una tiroxina con una istidina incrementa il rischio di degenerazione maculare di 4,6 volte se presente in un solo allele e di 7,4 se presente su due alleli. La mutazione varierebbe la capacità del CFH di legare l’aldeide con conseguente incremento del rischio di sviluppo della patologia.


Data Pubblicazione 30-01-2012

Cellule staminali nell'occhio umano

La scorsa settimana hanno destato molto scalpore, nel nostro ambiente, alcune notizie, pubblicate da organi di informazione generalisti, a proposito di un esperimento sull'uomo concernente l'impianto di cellule staminali nella retina. In attesa di informazioni più precise, tratte da riviste scientifiche, pubblichiamo l'articolo apparso sul quotidiano LA STAMPA di Torino il 25 gennaio scorso. Ci sembra infatti il più sobrio ed equilibrato.

"Staminali, primi test sull'uomo  per curare le malattie degli occhi   Risultati incoraggianti su due pazienti NEW YORK Due donne hanno riacquistato l'uso della vista dopo essere state sottoposte a  cure sperimentali con cellule staminali. Si tratta della prima e più importante  applicazione di questa scoperta sugli esseri umani. Prima di adesso, le cellule  staminali umane - isolate per la prima volte oltre un decennio fa - erano state  utilizzate esclusivamente per ricerche sugli animali. "Questo studio è incoraggiante ma è prematuro dire che abbiamo trovato una  terapia" ha detto Paul Knoepfler dell'Università della California a Davis. La scorsa estate, le due pazienti - che avevano perso la vista per due  problemi diversi - hanno ricevuto un impianto retinico in un occhio all' Università della California a Los Angeles. Dopo quattro mesi, entrambe  mostravano segni di miglioramento. "Ma - avverte lo specialista dell' Università Vanderbilt e presidente dell' American Academy of Ophthalmology Dr. Paul Sternberg - non bisogna esagerare la  portata della scoperta". Le due donne hanno mostrato segni di miglioramento ma  continuano a essere considerate legalmente cieche. La ricerca, finanziata da Ucla e Advanced Cell Technology, è stata pubblicata  online dall'autorevole rivista medica Lancet ed era mirata a stabilire se l'uso  di cellule staminali sugli essere umani fosse sicuro. Quello che interessava i  ricercatori era verificare se le cellule impiantate si fossero attaccate alla  membrana dell'occhio e che non ci fossero segni di rigetto o di crescita  anomala. La notizia della scoperta viene appena due mesi dopo che Geron Corporation,  azienda pioniere nella ricerca sulle cellule staminali, aveva annunciato di  aver interrotto il primo test clinico con staminali."


Data Pubblicazione 23-01-2012

Possibile terapia genica per la RP

Si apre la possibilità di predisporre una terapia genica anche per una determinata tipologia di retinite pigmentosa causata dalla mutazione del gene MFRP. La Retinite pigmentosa autosomica recessiva, gruppo di degenerazioni retiniche eterogenee, potrebbe essere dovuta, in alcuni casi,  alla mutazione del gene MFRP. E’ stato individuato con certezza un paziente affetto da retinite pigmentosa che presenta questa mutazione e che potrebbe essere un candidato per una futura terapia genica. Uno studio preliminare è stato quindi svolto su un topo che presenta tale anomalia genetica. L’animale è stato transfettato con un vettore contenente il gene corretto a 14 giorni dalla nascita. Il trattamento ha preservato, come rilevato da prove istologiche ed elettroretinografiche effettuate dopo due mesi, coni e bastoncelli dalla degenerazione. Si è potuta inoltre misurare una massiccia espressione del gene nei siti corretti come nei soggetti normali. Si apre dunque una possibile strada per trattare con terapia genica tale forma di retinite pigmentosa. University of Florida, Dept of Ophthalmology, Gainesville, Florida, United States Per informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.


Data Pubblicazione 16-01-2012

Effetti del fumo sulla salute degli occhi

Bascom Palmer Eye Institute, University of Miami, Miami Veterans Administration Medical Center, Miami Florida, USA. Per informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.   Il fumo è stato associato con una miriade di effetti negativi sulla salute degli occhi inclusa la degenerazione maculare legata all’età e la cataratta. Più  di recente sono state individuate correlazioni tra fumo ed infiammazioni oculari, cali della vista e manifestazioni eclatanti di patologie genetiche. Nonostante l’abbondanza di dati, solo l’Australia ha lanciato una campagna anti-fumo fondata anche sulle conseguenze negative sulla vista. Negli altri paesi sembra mancare una politica che diffonda  tra le persone tale consapevolezza.


Data Pubblicazione 16-01-2012

Gli antiossidanti prevengono danni all'epitelio retinico

Department of Biological Sciences, Fordham University, Bronx, NY 10458, USA   Nell’occhio umano degli anziani il danno ossidativo e l’accumulo di lipofuscine causano un declino funzionale dell’epitelio retinico che contribuisce alla comparsa della degenerazione maculare senile. Nei topi con un difetto di fagocitosi legato alla mancanza di recettori per 5 integrina, l’accumulo di lipofuscine è dovuto a stress ossidativi. L’introduzione nella dieta di antiossidanti naturali come luteina e zeaxantina sono sufficienti in questi topi a diminuire l’accumulo di lipofuscine, danni al citoscheletro  e degenerazione dei fotorecettori. In particolare sembra evidente il mantenimento delle caratteristiche funzionali dell’actina, necessaria per la stabilità del citoscheletro.


Data Pubblicazione 02-01-2012

Acromatopsia

Chi non è in grado di distinguere i colori viene generalmente definito "daltonico" ma in realtà il daltonismo consiste soltanto in una anomala percezione di alcune famiglie cromatiche. L'assoluta insensibilità ad ogni colore, che possiamo invece sinteticamente descrivere come "vedere tutto il mondo in bianco e nero", rientra fra i sintomi di una patologia assai più grave e rara chiamata "acromatopsia. Negli U.S.A. esistono dati ben precisi in merito alla diffusione di questa malattia: si calcola che essa colpisca una persona su circa 33.000. Basandoci su tali rilevazioni possiamo ragionevolmente affermare che in Italia i malati si aggirino intorno ai duemila. In realtà la mancata visione dei colori rappresenta solo uno dei sintomi più evidenti di questa affezione congenita e di natura genetica. Gli acromati, in effetti, non possono utilizzare una delle due categorie di cellule foto-recettrici presenti nella retina: i coni. Essi consentono la fissazione degli oggetti, l'individuazione dei particolari di ogni immagine e, per l'appunto, la visione dei colori. Gli acromati, di conseguenza, sono comunque sempre degli ipovedenti piuttosto gravi. Il loro residuo visivo difficilmente supera un decimo di acutezza. Altri effetti negativi prodotti dalla malattia sono la fotofobia elevata e il nistagmo. Il primo sintomo è dovuto al fatto che la retina di questi soggetti funziona soltanto utilizzando i cosiddetti bastoncelli. Queste cellule foto-recettrici si saturano facilmente con la luce elevata e non sono in grado di garantire la bisione dettagliata. Il nistagmo invece consiste in un movimento rapido ed involontario degli occhi. Il fenomeno si verifica soprattutto quando la persona cerca di fissare un oggetto e non ci riesce. L'acromatopsia, per fortuna, non tende ad aggravarsi con il passare del tempo. Per questa sua caratteristica essa si differenzia nettamente da una situazione, per molti versi, assai simile: la distrofia dei coni che invece è degenerativa. Gli acromati dunque possono vivere relativamente tranquilli rispetto alle prospettive future della loro vita. Se infatti riescono ad abituarsi all'uso di determinati ausili, come il videoingranditore o i testi ingranditi, non dovranno stare in ansia, come purtroppo molti altri ipovedenti, temendo un peggioramento della vista. A tutt'oggi sono stati identificati alcuni geni che, se difettosi, possono determinare questa malattia rara. Il meccanismo della trasmissione si inquadra, nella maggioranza dei casi, nello schema che i genetisti sogliono definire "autosomico recessivo". Occorre, in altre parole, che entrambi i genitori siano portatori sani e, in tale evenienza, la coppia avrà una probabilità su quattro di generare un figlio malato. In Italia si è costituita nel 1999 l'Associazione Acromati Italiani che ha sede a Verona. Ad essa ci si può rivolgere per informazioni più approfondite. Anche le altre organizzazioni dei retinopatici comunque, come l'A.P.R.I-onlus di Torino sono in grado di fornire supporto a chi si trova a dover affrontare questo problema.


Data Pubblicazione 02-01-2012

Amaurosi congenita di Leber

Come indica già chiaramente la denominazione "amaurosi congenita di Leber" ci troviamo di fronte ad una patologia rara che compare fin dalla nascita. Essa può dunque essere diagnosticata già attorno ai sei mesi di vita, quando cioè il bambino inizia a manifestare con chiarezza le proprie percezioni visive. Il termine "amaurosi" può apparire difficile ed oscuro: in realtà significa semplicemente "non visione" e quindi "cecità". La malattia fu descritta per la prima volta, verso la fine del secolo XIX, dall'oculista tedesco che le diede il nome. Essa consiste sostanzialmente in un mancato sviluppo delle cellule fotorecettrici presenti nella retina: i coni, che consentono la fissazione e il riconoscimento dei colori, e i bastoncelli che sono sensibili al movimento degli oggetti e al contrasto. L'incidenza sociale rilevata statisticamente dalla O.M.S. è di un caso ogni circa 30.000 nati. Siamo dunque a pieno titolo nel campo delle cosiddette patologie rare. Quali sono i sintomi che possono far sospettare la presenza dell'amaurosi di Leber? Siccome ci si trova a che fare con piccoli bambini le manifestazioni evidenziate non sempre appaiono univoche e specifiche. Un sintomo molto spesso presente è quello del "nistagmo" che consiste in un movimento incontrollato, rotatorio o a scatti, dell'occhio. A volte inoltre i piccoli tendono a sfregarsi o toccarsi frequentemente gli occhi allo scopo di provocare le tipiche sensazioni luminose dovute alla compressione della retina.  Una diagnosi incontrovertibile la si può però ottenere solo sottoponendo il giovane paziente all'elettroretinogramma e ai potenziali evocati visivi. Il decorso della patologia è in genere fortemente progressivo. La cecità pressochè assoluta è raggiunta purtroppo quasi sempre entro l'adolescenza. L'amaurosi congenita di Leber è un'affezione di origine genetica a trasmissione autosomica dominante. Il gene difettoso è, nella maggior parte dei casi, quello contrassegnato con la sigla "RPE65". Non esistono attualmente terapie efficaci ma, dall'anno scorso, si sta sviluppando, fra Italia e Stati Uniti, uno dei primi progetti di sperimentazione per la messa a punto di una terapia genica. I ricercatori del CNR di Napoli, insieme a quelli operanti alla Pennsylvania University, hanno provato ad "infettare" alcune cellule retiniche di sei malati, con un virus-vettore che, appositamente trattato, portava con se un frammento di DNA da sostituire. I risultati, di cui parlarono a lungo i media nella primavera del 2008, sembrano incoraggianti. Recentemente, in un convegno nazionale organizzato dall'A.P.R.I. a Domodossola, il prof Alfredo Ciccodicola, componente dell'equipe che effettuò lo storico intervento, ha riferito che la cura genica è stata nel frattempo praticata ad altri trenta malati i quali, in maggioranza, hanno ottenuto significativi miglioramenti visivi. Il trattamento inoltre pare non abbia provocato alcun effetto collaterale negativo. Qualche speranza dunque si intravvede per il futuro.


Data Pubblicazione 02-01-2012

Malattia di Stargardt

Mentre la degenerazione maculare senile sta diventando sempre più un vero e proprio flagello fra le persone entrate nella cosiddetta "terza età", assai meno diffusa, e pertanto rientrante appieno fra le patologie rare, è la malattia di Stargardt o maculopatia giovanile. Come si evince dalla stessa denominazione essa colpisce la zona centrale della retina, chiamata appunto macula. Quest'area, grande non più di 2 millimetri quadrati, svolge una funzione fondamentale nel processo della nostra visione. Essendo infatti fittamente popolata da un tipo di cellule fotosensibili, note come "coni", la visione attraverso la macula consente di fissare gli oggetti e le persone e di distinguere i particolari delle immagini. Da questo organo dipendono dunque la lettura, il riconoscimento dei volti, la percezione dei colori e la realizzazione di tutti i lavori di precisione. La malattia di Stargardt va pertanto ad impattare pesantemente su tutte queste funzioni della vita quotidiana. Si tratta, come molte altre affezioni retiniche, di una patologia degenerativa di origine genetica. I dati epidemiologici disponibili ci dicono che essa colpisce circa un soggetto su 10.000 abitanti. In Italia dunque dovrebbero soffrirne più o meno 6.000 individui.   I primi sintomi normalmente compaiono in età infantile o adolescenziale. Si nota un repentino abbassamento dell'acutezza visiva e la comparsa di piccole macchie giallastre sulla superfice retinica attorno alla macula. Per fortuna la progressione della degenerazione è in genere molto lenta e difficilmente i malati giungono alla cecità assoluta. Il campo visivo, a parte la zona centrale, si mantiene abbastanza ampio per lunghi periodi. Il forte abbassamento dell'acuità centrale comporta in ogni caso la discesa del "visus" anche al di sotto di 1/10 o 1/20. Per facilitare allora operazioni come la lettura si consiglia l'uso di ausili specifici per l'ipovisione come lenti telescopiche o video-ingranditori. Sotto l'aspetto genetico sappiamo che il meccanismo di trasmissione è quasi sempre di tipo autosomico recessivo. Ciò significa che i soggetti malati devono ricevere il gene responsabile della malattia da entrambi i genitori. Sia il padre che la madre dunque sono necessariamente portatori sani. Il rischio dell'ereditarietà aumenta notevolmente dunque nel caso di matrimonio fra consanguinei o all'interno di comunità chiuse. La malattia di Stargardt risulta a tutt'oggi incurabile. Esistono tuttavia numerosi progetti di ricerca nel mondo che lasciano ben sperare per il futuro. I filoni di studio che appaiono più promettenti sono quelli che puntano alla messa a punto di una terapia genica o basata sull'innesto di cellule staminali opportunamente trattate. Sullo sfondo rimane comunque sempre il sogno della realizzazione di una retina artificiale. Al momento si stanno muovendo in questa direzione i primi passi ma i progressi della ricerca sono senz'altro incoraggianti. Chi fosse interessato ad ottenere maggiori informazioni su questa patologia altamente invalidante potrà rivolgersi ad una delle tredici associazioni italiane che si occupano, a livello regionale, di promuovere la ricerca scientifica contro le distrofie retiniche ereditarie. L'A.P.R.I.-onlus resta a disposizione per informazioni e consigli.


Data Pubblicazione 02-01-2012

Retinoblastoma

Non sono nè molti, nè frequenti, per fortuna, i tumori maligni dell'occhio. Fra i pochi ne figura però uno molto grave, il retinoblastoma, che colpisce purtroppo soprattutto bambini anche molto piccoli. La sua incidenza è valutata all'incirca in un caso ogni ventimila nati. A differenza però dalla maggioranza delle affezioni di natura oncologica, il retinoblastoma presenta, in almeno il 40% delle sue manifestazioni,  un'origine accertata di tipo genetico. In queste forme infatti si trasmette in modo autosomico dominante e quindi comporta un rischio del 50% ad ogni successiva generazione di figli.  Ma come si manifesta concretamente questa grave patologia? I primi sintomi compaiono solitamente non oltre i trentasei mesi di vita. Una macchia biancastra o un riflesso rossiccio, si rendono evidenti a livello della pupilla oppure nell'interno del bulbo oculare. A questo punto l'oculista può facilmente formulare una diagnosi precisa attraverso l'esame del fondo oculare che, data la tenera età dei piccoli pazienti, viene generalmente effettuato sotto anestesia totale. I casi più gravi, specialmente quelli ereditari, sono purtroppo bilaterali. Pare che lo sviluppo della massa tumorale sia favorito dalla mancanza, nei malati, di una proteina che inibisce normalmente la formazione di neoplasie. Quali sono le prospettive di cura e la prognosi? Come in tutte le malattie oncologiche, quando la diagnosi avviene precocemente e le dimensioni del tumore sono ancora relativamente piccole, le speranze di guarigione aumentano notevolmente. Attualmente del resto sono disponibili parecchie terapie che possono essere applicate singolarmente o associate fra di loro. Citeremo le radiazioni esterne o somministrate, in modo più mirato, con piccole piastre inserite nell'occhio, la chemioterapia, la terapia laser e la crioterapia per l'eliminazione radicale della massa. Quando però tutte queste cure si dovessero rivelare inadeguate si può giungere purtroppo, in alcune situazioni, all'enucleazione totale di uno od entrambi i bulbi oculari.  Sono raccomandati, anche nel caso di esito positivo delle terapie, frequenti controlli nelle fasi successive. La mancanza infatti della proteina sopra citata espone i soggetti colpiti a possibili recidive ed anche le metastasi a carico di cervello, polmoni e fegato non possono essere escluse. Si consiglia altresì, sia ai genitori dei bambini malati che agli stessi retinopatici divenuti adulti, di sottoporsi ad una consulenza genetica allo scopo di valutare i rischi di trasmissione della malattia ai figli. In tale prospettiva assume una particolare importanza l'esistenza di altri casi in famiglia fra i parenti più o meno lontani. In Italia il centro più importante nella cura del retinoblastoma si trova a Siena. Attorno a questa struttura di eccellenza si è costituita, dal 1997, l'Associazione Italiana Genitori Retinoblastoma (A.I.G.R.) alla quale ci si può ovviamente rivolgere per informazioni ed approfondimenti. Anche presso le altre organizzazioni di retinopatici, come l'A.P.R.I.-onlus) vi sono comunque persone disposte a dare una mano a chi dovesse affrontare questo difficile problema.


Data Pubblicazione 02-01-2012

Retinopatia del prematuro

La retinopatia del prematuro, o del pretermine, R.O.P. nella sigla inglese con la quale viene solitamente identificata, è classificata come malattia rara ma così non è se la si circoscrive ad una fascia ben precisa di popolazione, ossia coloro che sono nati prima delle canoniche trentasei settimane di una normale gestazione. Se si considerano infatti i bambini prematuri nel loro insieme la patologia colpisce circa un terzo di essi e la metà dei casi assume connotati di gravità. Se si restringe ancora di più l'angolo di osservazione poi si può notare che la ROP si manifesta nel 85% dei neonati di peso, alla nascita, inferiore ad 1 Kg ed addirittura nel 90% dei piccoli nati prima della ventisettesima settimana. Date però alcune cifre che possono sembrare fredde e distaccate, possiamo passare a descrivere in cosa consiste l'affezione. Tutti gli organi del nostro corpo si sviluppano gradualmente nel corso della gestazione. Così avviene anche per la retina a partire dal quarto mese. Quando però la gravidanza, per un motivo qualsiasi, si interrompe in anticipo, anche lo sviluppo di questo organo così importante e delicato, può subire delle alterazioni significative. La conseguenza più diffusa consiste nella crescita disordinata di piccolissimi vasi sanguigni sopra e sotto la superfice retinica. Tali neo-formazioni, se non si interviene tempestivamente, possono giungere a determinare il distacco parziale o totale della retina con pesanti conseguenze sul piano della funzionalità visiva. Per anni si è pensato che tale processo si innescasse in seguito alla forte ossigenazione a cui è sottoposto il neonato alla nascita, specialmente quando si rende necessario un periodo di incubazione artificiale. Oggi, pur non sottovalutando comunque l'effetto provocato dall'iperossigenazione a cui sono sottoposti i piccoli prematuri nelle incubatrici, si è notato che la R.O.P. può svilupparsi anche a prescindere da tale elemento.    Attualmente  comunque la moderna tecnologia consente di limitare l'esposizione al troppo ossigeno e si possono prevedere protezioni abbastanza efficaci. Esistono inoltre buone prospettive terapeutiche a patto che la diagnosi sia precoce e gli interventi tempestivi e mirati. A tal proposito va innanzitutto precisato che alcune situazioni possono evolvere in senso positivo spontaneamente. Se ciò però non avviene si procede con protocolli ormai ben definiti e standardizzati. Le due metodiche maggiormente utilizzate fanno ricorso a particolari tipologie di laser e alla cosiddetta "crioterapia" ovvero all'eliminazione dei neo-vasi attraverso una sorta di loro congelamento. Nei casi più gravi non è esclusa la possibilità di giungere ad un intervento intravitreale di tipo tradizionale.  Anche per la retinopatia del pretermine esiste in Italia una rete di centri di riferimento regionali fra cui eccelle certamente il reparto di oftalmologia dell'Ospedale "Maria Vittoria" di Torino guidato dal prof. Giovanni Anselmetti. La malattia infatti richiede sempre uno stretto monitoraggio e la sottoposizione dei bambini colpiti a frequenti visite di controllo.  Anche le associazioni, sia pur su un piano diverso, possono tuttavia fornire un notevole supporto psicologico ed informativo ai genitori spesso disorientati. L'A.P.R.I.-onlus, come altre organizzazioni sparse sul territorio nazionale, resta a disposizione per tutte le necessità e gli approfondimenti necessari.


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