Nel convulso panorama che ha caratterizzato, in questo torrido mese di luglio, il Centro di Riabilitazione Visiva eporediese va senz'altro citata una bella lettera inviata dal noto riabilitatore Massimiliano Tala, personaggio ancor oggi molto amato e stimato dai disabili visivi canavesani. Con un linguaggio molto semplice ma preciso egli espone le sue valutazioni sulla vicenda, sottolineando innanzitutto l'importanza degli interventi domiciliari nella riabilitazione visiva. La proponiamo pertanto ai nostri lettori e ringraziamo l'estensore per l'attenzione che ancor oggi dedica alla nostra categoria:
Mi chiamo Massimiliano Tala e ho svolto, per ben dodici anni, l'attività di riabilitatore visivo presso il centro di Ivrea, prima alle dirette dipendenze ASL, poi in collaborazione con APRI-onlus fino al novembre 2014.
Avendo letto della recente dura polemica esplosa fra gli utenti del C.R.V. e gli atuali gestori mi sento in dovere di intervenire per esporre le mie considerazioni come esperto del settore.
In realtà le considerazioni espresse dagli utenti, se saranno verificate, mi paiono davvero molto importanti e degne di attenzione.
Ciò che però soprattutto mi ha sconcertato, per non dire scandalizzato, è la risposta fornita dai dirigenti ASL che, con incredibile candore, hanno di fatto ammesso che, in otto mesi di gestione UICI, non c'è stato davvero nessun intervento di riabilitazione domiciliare...
Sarebbe come dire che un laboratorio analisi, in otto mesi, non ha effettuato nessun prelievo o che un reparto di maternità non ha registrato nessun parto...
E' vero infatti che in un Centro di Riabilitazione Visiva si possono fare tante cose, anche di gruppo o in sede. L'attività principale è però SEMPRE quella di intervenire nell'ambiente dove la persona vive o sui percorsi compiuti quotidianamente per raggiungere la scuola o il lavoro.
Quando una persona perde la vista, a qualsiasi età, vive sempre un trauma piuttosto pesante. La prima cosa che si deve fare è quella di insegnarle a riutilizzare la sua cucina, il suo bagno, la sua casa, permetterle di raggiungere il negozio più vicino per fare la spesa, la fermata del bus, il bar, la chiesa o qualunque luogo ove essa possa reinserirsi nella vita sociale.
Tutte queste cose non si possono fare seduti dietro ad una scrivania o rispondendo al telefono.
Io, nel mio servizio, quasi tutti i giorni salivo e scendevo le valli canavesane o le colline della Serra per recarmi a casa degli utenti. Forse per questo molti di loro ancor oggi mi cercano e mi testimoniano il loro affetto. Sono stato dunque proprio un cretino...?
Mi sembra pertanto davvero incredibile che la ASL stessa, e quindi non solo gli utenti, ammetta una lacuna così grave. Quì non è questione di metodi o di scuole di pensiero. Vi è una convenzione molto chiara in proposito e la ASL stessa ammette di non applicarla.
Massimiliano Tala