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OCCHI APERTI N. 36: CARLO BORSANI, SOLDATO E POETA

Non è oggettivamente facile parlare di Carlo Borsani, anche se la sua morte avvenne il 29 aprile del 1945, fucilato a Piazzale Susa a Milano da un gruppo di partigiani nelle concitate giornate della Liberazione.

Fu infatti sicuramente fascista, ma molti fascisti lo detestavano perché voleva la pace. Fu un soldato valoroso e un poeta, una persona coerente ed anticonformista, ma sostanzialmente un giusto, come sono costretti a riconoscere anche gli avversari meno ideologizzati. A noi interessa, però, soprattutto perché divenne non vedente e, nonostante la grave minorazione e la guerra, riuscì ugualmente a diventare giornalista ed a dirigere un importante giornale. Se qualcuno pensa che di certe persone non bisogna parlare, se ne faccia una ragione: significa che non conosce la nostra associazione.
Chi fa storia deve imporsi una sorta di abito mentale alieno da ogni schieramento partitico e ideologico (“sine ira et studio”). Non è facile, ma bisogna provarci. Carlo Borsani nato nel 1917 a Legnano, era figlio di Raffaele, un operaio della Franco Tosi, di fede socialista. Nonostante le difficoltà economiche, il giovane studiò al liceo e poi si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza. Dovette però interrompere gli studi a causa dello scoppio della guerra. Diventò così sottotenente e combatté inizialmente in Francia e poi in Grecia. Nella notte tra l’8 e il 9 marzo 1941, Borsani fu ferito, da una mitragliata, sul fronte greco. Mentre era portato dai compagni in luogo sicuro, lontano dai combattimenti, egli fu colpito però ancora gravemente da una bomba di mortaio e creduto morto. Si accorsero casualmente che ancora muoveva una mano poco prima di seppellirlo. Riuscì a riprendersi miracolosamente, ma perse completamente la vista. A causa di ciò, fu premiato con la Medaglia d’Oro al valor militare. Non si perse comunque, d’animo e decise di rimettersi a studiare. A Milano, al ritorno dal fronte, si iscrisse allora alla Facoltà di Lettere della Statale, si sposò e iniziò la pubblicazione di poesie e racconti. A questo periodo risale l’opera “Gli occhi di prima”, raccolta di versi contenente profonde riflessioni sulla cecità.

Gli altri libri che riuscì a scrivere nella sua breve vita furono il diario di guerra “Eroi senza medaglia”, “La mano di Antigone” ed un volume di liriche pubblicato postumo nel 1948. La vera svolta politica nella sua vita avvenne però quando ascoltò per radio l’annuncio dell’armistizio da parte del maresciallo Badoglio. Percepì questo annuncio come un tradimento nei confronti dei valori patriottici per i quali aveva sacrificato i suoi occhi. Decise allora di consacrare la sua vita alla patria tradita dal re e dalla nuova classe dirigente fuggita a Brindisi. Dal suo punto di vista la svolta dell’8 settembre era un affronto ai tanti morti italiani che avevano combattuto fino all’estremo sacrificio negli anni precedenti.

Da quel momento seguì Mussolini, di cui divenne un fervido ammiratore, e prestò la sua figura di grande mutilato per incitare i connazionali alla lotta. Ma non c’è solo questa attività nella sua vita. Il figlio, Carlo Borsani jr, che scrisse una bella biografia del padre, attribuisce a lui un coerente disegno volto a “pacificare gli italiani” con appelli a ritrovarsi sul comune terreno della patria in pericolo superando schieramenti politici e partitici. La tribuna da cui lanciò questi appelli all’unità fu il giornale “La Repubblica Fascista” da lui fondato, con l’avallo di Mussolini, nel gennaio 1944.
Sin dal primo articolo, “L’ora dello spirito”, Borsani si presentò come fascista anomalo. Così infatti scriveva:
“La redazione intende accettare le idee di tutti gli onesti e di tutti coloro che vogliono lavorare per il fine supremo della giustizia sociale, senza chiedere loro alcuna tessera, con il rispetto di tutte le opinioni”.
Questa sarà la linea politica mantenuta da Carlo Borsani per tutti i sei mesi della sua direzione. L’idea di Borsani si scontrò con le profonde spaccature che la guerra aveva creato fino a scomparire inghiottita nel baratro in cui stava precipitando l’Italia.
Ancora prima di vedere la sconfitta delle sue idee, Borsani dovette subire gli strali dell’estremista Farinacci. Nella primavera del 1944 egli lo accusò di essere un “falso fascista” e di voler portare nel partito i “rifiuti dell’antifascismo”. Anche Mussolini prese posizione contro Borsani (a favore quindi dei “falchi” Pavolini e Farinacci) affermando durante una riunione che “Borsani era un falso fascista”.
Alla fine, il ministro Mezzasoma lo destituì dalla direzione de “La Repubblica Fascista” dopo un suo articolo dal titolo inequivocabile: “Per incontrarci” (10 luglio 1944). Anche dopo la rimozione restò comunque a Milano fino all’epilogo della guerra civile. Bontà o cattiveria non sono categorie storiografiche di una qualche concretezza. Possiamo però osservare che Carlo Borsani operò in una delle tante anime di Salò (non la maggioritaria) in uno dei momenti più convulsi e contraddittori di tutta la storia italiana.
Carlo Borsani rimase a Milano anche quando Mussolini fuggì verso la Svizzera il 25 aprile del ‘45. Alcuni amici lo scongiurarono di partire da Milano perché il suo era un nome troppo
conosciuto, ma egli rifiutò ogni volta la possibile fuga rimanendo fedele a sé stesso: “No, non è vero che tutto è finito: dobbiamo ancora morire”. Il 26 aprile trovò rifugio all’Istituto Oftalmico di via Commenda, dove, da anni, era in cura a causa della sua cecità. Qui venne però arrestato a seguito di una delazione. Dopo un processo sommario, di cui non c’è traccia documentale, fu portato a Piazzale Susa e lì fucilato il 29 aprile. Morì, senza poter guardare negli occhi i suoi assassini, con in mano la prima scarpetta di lana acquistata per il figlio che non era ancora nato. Il corpo venne poi messo su un carretto e portato in giro per qualche ora. Difficile dare di lui un giudizio sintetico. Per noi resta comunque un non vedente coraggioso, capace e molto considerato nel contesto sociale di riferimento. Se non lo avessero considerato pericoloso ma solo un povero handicappato, certamente infatti non lo avrebbero ammazzato.
Come valutare allora la figura di Carlo Borsani? Si tratta di un'operazione difficile perché ci muoviamo su un terreno minato. Non fu un assassino sicuramente, non fece del male a nessuno; rispetto ai torturatori e agli stupratori di Salò c’è una grande distanza. Non approfittò mai della sua posizione per fare “affari”, ma i suoi continui appelli all’alleanza italo-tedesca, l’esaltazione di Mussolini in quanto “Uomo e Duce”, il fervido patriottismo dove i valori della patria si mescolavano con l’esaltazione del fascismo repubblicano dovevano fare di Borsani un obiettivo dei vincitori. E così fu. Forse la sua cifra più vera fu una profonda ingenuità
politica che gli impedì di vedere con la mente gli orrori della guerra tedesca, la vera natura di Mussolini e dei suoi sodali, il carattere fumoso della socializzazione, il baratro che si apriva ogni giorno sempre di più davanti ai suoi piedi. Borsani non era uomo di compromessi o mezze misure. Rimase al suo posto consapevole di quanto gli sarebbe capitato. Come ricordarlo oggi? Non si può ovviamente ignorare il peso delle sue convinzioni politiche. Impressiona però anche la forza del suo carattere, la sua profonda onestà morale e il disprezzo per ogni forma di rischio personale. Chissà se non ci fosse stata la guerra... Forse Borsani sarebbe stato un magnifico educatore, un uomo di grande cultura (amava molto i classici) e un poeta di grande valore. Ecco due suoi versi famosi:
“E’ una lacrima il mondo, che pietoso
l’infinito raccoglie nel suo nulla”

Oggi forse, a distanza di quasi un secolo, un giudizio più equilibrato si sta facendo faticosamente strada.
A Legnano è stato infatti dedicato a Carlo Borsani il piazzale posto di fronte al Liceo “Galileo Galilei”.

Marco Bongi

 

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