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OCCHI APERTI N. 36: RIPENSARE LA VITA

La convivenza ai tempi del covid 19

Ciò ha indiscutibili effetti psicologici sull’umore e sulla vita psichica. Detto ciò, la storia, magistra vitae,
ci insegna che noi uomini abbiamo fortunatamente le potenzialità per superare molti eventi traumatici e che non tutto il male viene per nuocere. Analizziamo insieme le due affermazioni. L’uomo sa e può superare un evento traumatico, depotenziarlo a livello dell’angoscia e dei blocchi ingenerati ed altresì trasformarlo in un’occasione di rottura di schemi sbagliati, promuovendo miglioramenti e crescite, sotto la spinta della resilienza individuale e collettiva, della cooperazione e della condivisione.
Le mascherine frenano i droplet, ma nel contempo ci inducono a parlare meno e meglio, noi figli di una cultura che ha umiliato e fiaccato di significato la parola. Il distanziamento interpersonale contiene i contagi ma, nello stesso tempo, induce ad attenerci ad un maggiore rispetto dello spazio altrui, dell’alterità.
L’igiene delle mani e delle superfici, tra disinfettanti e saponi, è igiene sanitaria, ma è anche un modo più “igienico”, pulito insomma, di trattare la persona, Per poter vivere in sufficiente benessere psicofisico, ora dobbiamo tutti ripensare la vita. Dobbiamo rivederne le regole igieniche, le regole di convivenza, le regole per andare a scuola e per lavorare, per vivere il nostro tempo libero e le relazioni interpersonali. La revisione che ci è richiesta riguarda il livello pratico delle azioni quotidiane atte a contenere i contagi, ma tale livello concreto inevitabilmente reca in sé il suo rimando simbolico, etico ed esistenziale.
Quanto ci sta accadendo non è cosa di poco conto. Nulla ora è più come prima. La vita è cambiata dentro e fuori di noi. È meno serena, meno disinvolta ed è più “selezionata”. Tale periodo di crisi è complesso:
stiamo sperimentando ed affrontando un trauma individuale e sociale, a livello più o meno intenso a seconda di ciascuna individualità, considerando il trauma nel suo significato di cesura, inattesa, tra un prima ed in poi. I traumi hanno la memoria lunga, si sa, ed ognuno di essi ha la mirabile capacità di risvegliare dal torpore i propri simili che gli stanno alle spalle, lungo la linea temporale.
Ciò ha indiscutibili effetti psicologici sull’umore e sulla vita psichica. Detto ciò, la storia, magistra vitae, ci insegna che noi uomini abbiamo fortunatamente le potenzialità per superare molti eventi traumatici e che non tutto il male viene per nuocere. Analizziamo insieme le due affermazioni. L’uomo sa e può superare un evento traumatico, depotenziarlo a livello dell’angoscia e dei blocchi ingenerati ed altresì trasformarlo in un’occasione di rottura di schemi sbagliati, promuovendo miglioramenti e crescite, sotto la spinta della resilienza individuale e collettiva, della cooperazione e della condivisione.
Le mascherine frenano i droplet, ma nel contempo ci inducono a parlare meno e meglio, noi figli di una cultura che ha umiliato e fiaccato di significato la parola. Il distanziamento interpersonale contiene i contagi ma, nello stesso tempo, induce ad attenerci ad un maggiore rispetto dello spazio altrui, dell’alterità.
L’igiene delle mani e delle superfici, tra disinfettanti e saponi, è igiene sanitaria, ma è anche un modo più “igienico”, pulito insomma, di trattare la persona, e gli oggetti, conferendo loro più valore intrinseco.

Il fatto che un minuscolo virus abbia ad oggi sconvolto l’assetto del mondo così negativamente reca in sé anche il significato che ogni piccolo gesto, pensiero ed intenzione costruttivi promuovano il medesimo effetto trasformante e planetario positivamente. Non tutto il male viene per nuocere: questo periodo ha comunque fatto emergere, nel bisogno e nella sofferenza, molti aspetti virtuosi della vita e del vivere, sepolti e lungo il tempo calpestati, nella speranza di una loro persistenza. Chi vive una
situazione di disabilità visiva aggiunge, se possibile, più fatica al vivere quotidiano. Il distanziamento non è facile da mantenere, essendo valutato ed impostato principalmente a livello visivo. Le mascherine, al di là del fastidio fisico di una benda sul viso, in molte persone ipovedenti limitano ulteriormente il
campo visivo ed appannano le lenti abbassando i contrasti cromatici e modificando il rapporto con la luce, mentre in chi non vede possono causare seri problemi di orientamento e mobilità, costituendo una barriera alla libera circolazione delle informazioni uditive, olfattive nonché per il senso degli ostacoli.

Inoltre, la tattilità viene severamente messa alla prova poiché è igienicamente minacciata e spesso vi è la paura di toccare cose e superfici potenzialmente infette. L’unico spostamento possibile in autonomia, cioè quello tramite autobus, tram e metro, può offrirsi sovraffollato o intralciato dalla non conoscenza delle regole condivise tra clienti ed aziende di trasporto pubblico, nonostante i regolamenti per il pubblico e quelli di esercizio per i conducenti. È comunque vero che la solidarietà dei tempi duri emerge e che le offerte di garbato ed utile aiuto arrivano un po’ da tutte le parti, in famiglia, tra gli amici, dai vicini di casa, a scuola, al lavoro, per strada o nei negozi.
La resilienza personale al tempo del Covid 19 di chi vive una disabilità, dai bambini, agli adolescenti, ai giovani, agli adulti, agli anziani, non di rado è ampia, forse perché già “allenata” dalla quotidianità ordinaria, forse perché le abitudini delle persone vedenti (per esempio, lo spostarsi tanto, talvolta troppo, nel tempo e nello spazio, l’avere spesso facile e disattento accesso a troppe risorse della vita quotidiana, l’over loading) stanno ridimensionandosi per avvicinarsi a quelle di chi è ipovedente o non vedente, caricandosi così di più valore e significato.
Come se le disuguaglianze di accesso tra vedenti e non vedenti si lenissero un po’ e la disabilità nell’uomo emergesse come una sorta di orientamento sociale al vivere più a passo d’uomo, quel passo culturalmente obliato.
Un bell’aiuto reciproco al vivere, non vi pare?

Simona Guida

 

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