Amburgo: relazione sul XVII Congresso di "Retina-International"
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di Sandra Giovanna Giacomazzi
"La speranza non ha niente a che vedere con l'ottimismo. Non è la convinzione che qualcosa andrà bene, ma la certezza che qualcosa ha un senso, indipendentemente da come finirà". E' con questa citazione da Klaus Havel che si è aperto il 17° congresso di Retina International svoltosi presso l'Hotel Grand Elisée ad Amburgo in Germania il 14 e 15 luglio scorsi. Come a Stresa due anni prima, si sono riuniti per l'occasione "la crème de la crème" dei ricercatori mondiali sulle distrofie retiniche ereditarie.. Oltre alle delegazioni dei 33 membri nazionali e 43 relatori da Nordamerica, Europa e Germania, erano presenti più di 500 partecipanti fra pazienti e familiari.
La scelta della citazione di Havel sembrava fatta per portare un po' di realismo e sobrietà alle aspettative. Da quando è stato scoperto il genoma umano, molti pazienti, come anche medici e ricercatori, erano convinti che le soluzioni per molte patologie sarebbero state dietro l'angolo. A più di un decennio di distanza si ha la consapevolezza che ciò che appariva imminente continua a sfuggire nel futuro, nonostante i salti da gigante compiuti dalla ricerca. C'è un clima quasi socratico riguardo all'accumulo di conoscenza: più si sa, più si scopre di non sapere. Tuttavia, le tante strade della ricerca vanno percorse con coraggio, determinazione, e sì, con speranza.
La sessione plenaria di sabato è iniziata con i discorsi di benvenuto da parte di Cristina Fasser, presidente di Retina International in carica ormai da un ventennio, Claus Gehrig, Presidente di Pro Retina Germania e organizzatore dell'incontro, e Stephen M. Rose, il direttore della ricerca della Fondazione per la Lotta contro la Cecità (Foundation Fighting Blindness), la madre statunitense di tutte le organizzazioni di ricerca su retinite pigmentosa e altre patologie della retina.
Dopo i discorsi di benvenuto, il Professor e Dottor Eberhart Zrenner, dell'Istituto per la Ricerca Oftalmologica dell'Università di Tubingen, ha parlato sulla importanza della interdisciplinarietà come chiave per il progresso nello sviluppo di soluzioni terapeutiche per le degenerazioni della retina. Che si tratti di terapie genetiche, di impianti retinici o di elettrostimolazioni, tre delle tecniche più innovative, ciò che risulta fondamentale è la sinergia fra specialisti dei vettori virali, biochimici, biologi molecolari, genetisti, chirurghi e fisiatri della retina, fisici, ingegneri elettronici, come anche specialisti in conoscenze legali, e di ipovisione, per non parlare dei pazienti stessi.
Terminati gli incontri plenari della prima mattinata, le sessioni si sono divise in due: quelle scientifiche, durante le quali, appunto, gli specialisti delle varie discipline potevano scambiare conoscenze fra di loro; e quelle per i pazienti, durante le quali ogni tipo di retinopatia è stato presentato e discusso: da quelle ereditarie, come la retinite pigmentosa, i tre tipi della sindrome di Usher, la sindrome di Stargardt, quella di Bardet-Biedl e l'amaurosi di Leber, o quelle acquisite come la retinopatia diabetica o l'infarto venoso della retina. Ognuno è stato affrontato sia dal punto di vista clinico, dal progresso nei sistemi diagnostici alle terapie attuali e le prospettive per il futuro, sia dal punto di vista della qualità della vita dei pazienti.
Molta attenzione è stata dedicata anche a quella che è diventata la più diffusa causa di cecità nel mondo moderno e sviluppato : la degenerazione maculare senile. Per quanto riguarda la degenerazione maculare umida o essudativa, si è confermata l'efficacia delle iniezioni di farmaci antiangiogenici, anche se non tutti i pazienti riscontrano un beneficio. Oramai si è confermato scientificamente ciò che era già evidente da tempo sull'efficacia di Avastin rispetto a Lucentis, il cui costo 40 volte superiore a quello di Avastin non può più essere giustificato. Sono già in corso dei trial clinici che comportano l'introduzione nell'occhio di microcapsule che rilasciano il farmaco con gradualità, tecnica che era già stata preannunciata a Stresa. Per quanto riguarda la degenerazione maculare secca, sono in corso dei trial clinici farmacologici e a base di nutrienti anti-ossidanti.
Quando tutte o la maggior parte delle cellule dei fotorecettori sono morte, una soluzione scontata sembrerebbe il trapianto di cellule sane per rimpiazzare quelle distrutte. Sfortunatamente anni di ricerca su modelli animali hanno portato solo successi marginali, ed i risultati di un primo trial clinico sono stati inconclusivi.
Al contrario, il trapianto di cellule staminali continua ad offrire una speranza per il futuro sia per le malattie ereditarie sotto l'ombrello della retinite pigmentosa, sia per le degenerazioni maculari senili. Le cellule staminali sono cellule primitive che posseggono la potenzialità di moltiplicarsi e svilupparsi in qualunque tipo di cellule che si trova nel corpo umano. Tuttavia, benché ci siano stati casi di successo in sperimenti con modelli animali, prima di raggiungere gradi di sicurezza che permetteranno ai ricercatori di effettuare trial clinici su esseri umani, la strada è ancora lunga.
Una vera novità nel campo diagnostico riguarda i test di analisi genetici. Le distrofie retiniche ereditarie possono essere divise in due categorie: le malattie che provengono dalla mutazione di un gene solo e quelle che provengono da mutazioni di più geni. La retinite pigmentosa è un esempio del secondo. Fino ad adesso in RP sono stati implicati 55 geni, che spiegano circa il 55% dei casi. Testare 55 geni con la vecchia metodologia, Sanger sequencing, comporterebbe costi troppo onerosi. Un nuovo tipo di analisi chiamato Next Generation Screening, NGS, permette la lettura di sequenze di DNA ad una velocità senza precedenti. Nel settore, NGS può essere applicato ai 150 geni delle degenerazioni retiniche, il cosidetto Pachetto RD, oppure si può appiccare a tutti i ventiduemila geni umani, test che si chiama Exon intero o Exome NGS. L'antropologo e genetista professor Frans P.M. Cremers, dell'Università van Nijmegen Afdeling in Olanda, ha spiegato gli aspetti pratici finanziari e etici di entrambi.
Per quanto riguarda la visione artificiale, ossia le protesi retiniche o l'occhio bionico, come preferiscono chiamarli i media, attualmente ci sono tre tipi di cui sono in corso dei trial clinici. Sono simili, in quanto tutti e tre consistono in tre componenti: l'impianto stesso che viene inserito nell'occhio con un intervento chirurgico, la telecamera che viene applicata ad un paio di occhiali e un pacco da tenere in tasca, contenente la pila di alimentazione. La fondamentale differenza fra i tre riguarda la locazione nell'occhio dell'impianto: epi-retinico, sub-retinico e subcoroidale. Quindi si tratta di tre concetti molto diversi, per quanto sembrino simili. Anche se i risultati fino ad ora sono molto promettenti, ci sono tre prerequisiti che limitano il numero di pazienti che potrebbero trarne beneficio. Devono essere ciechi totali e avere il nervo ottico intatto. Devono anche, però, essere persone che prima hanno visto per poter beneficiare della fase rieducativa. Ad Amburgo erano presenti due pazienti che hanno partecipato ai trial clinici di due impianti diversi, che hanno condiviso le loro esperienze con tutti i presenti.
La grande novità di Stresa due anni fa era stata la terapia genica con la quale un virus, privato dei suoi aspetti patologici, era stato così neutralizzato e poi caricato di materiale retinico sano e usato come vettore. Iniettato negli occhi di pazienti malati di amaurosi di Leber, il virus si è comportato secondo la sua natura: moltiplicandosi, ha occupato le retine malate con cellule retiniche sane. La professoressa Jean Bennet, dell'Università di Philadelphia, ha confermato il miglioramento dei pazienti e l'intenzione di procedere con trial clinici applicando la tecnica ad altre Patologie, quale per esempio la sindrome di Stargardt.
L'innovazione terapeutica di quest'anno, invece, è un trattamento chiamato elettrostimolazione trans corneale, in cui un bassissimo voltaggio di elettricità è usato per stimolare e potenzialmente proteggere la retina di pazienti affetti da retinite pigmentosa. Benché i trial clinici siano solo alle prime fasi, secondo il Dott. Florian Gekeler dell'Università di Tubingen, i primi risultati sono molto incoraggianti con effetti positivi per i pazienti partecipanti al trial pilota. Il trattamento è stato sviluppato dall'azienda tedesca Ocuvision, la quale sta allargando lo studio per capire meglio il potenziale del trattamento e la sua sicurezza ed efficacia. Aspettiamo di sentire i risultati di un'applicazione più ampia di questa nuova affascinante tecnica al prossimo appuntamento a Parigi nel 2014.