MEDITAZIONI SOTTO L'OMBRELLONE
Le vacanze stimolano la riflessione. Vi presentiamo dunque una pagina recentemente scritta dall'amico Davide Cervellin che, pur vivendo un'esistenza attiva ed assolutamente dinamica, non di meno si trova a volte, come tutti noi, a fare i conti con la realtà scomoda della disabilità.
Considerazioni amare le sue ma meritevoli senz'altro di attenzione. Speriamo che presto vengano però sostituite da riflessioni più serene:
E' incredibile come con la vita che ho vissuto, tutt'altro che marginale e quieta, piena di progetti, di incontri, di cambiamenti radicali, di lavoro, di luoghi dove abitare, solo adesso alla soglia dei 60 anni, avverto il peso della cecità . Io, ho sempre potuto apprezzare poco le consuetudini. Da giovane, fino ai vent'anni, sono vissuto tra Asolo, Padova, Bassano del grappa, ancora Padova, cambiando case, e luoghi di studio. Dopo i vent'anni, ho fatto dieci traslochi vivendo lunghi periodi a Bologna, a Roma, lavorando a Mestre, e poi a Piombino Dese e a Loreggia. E ciò nonostante, ho trovato sempre il modo di adattarmi e di costruirmi velocemente le sicurezze e le relazioni sociali che mi permettevano di vivere in maniera marginale il mio handicap, nonostante che tutti mi assillassero con il tormentone "ma come fai se non ci vedi!" "ma non è vero che non ci vedi!" "la cecità è la peggior cosa che possa accadere nella vita". E ciò nonostante, ho sempre tirato dritto, incazzandomi soltanto quando alla mattina alle sei dovevo partire e chi doveva venire con me, arrivava puntualmente con un quarto d'ora o venti minuti di ritardo. Ma poi, da inguaribile ottimista, trasformavo la rabbia per la non puntualità del mio autista, in gioia per aver goduto di un'alba, aver annusato gli odori del mattino, e di essermi deliziato del canto degli uccelli felici di spiccare ancora il volo verso la vita. Ma, la tradizione culturale, la realtà, era ed è quella che percepisce la gente. D'altro canto, fin dalla Bibbia, Genesi, Libro 27, Isacco, divenuto cieco, è raccontato come un handicappato che non ha neppure la capacità di riconoscere i due figli, Esau e Giacobbe. Poi c'è la letteratura e tradizione greca, dove il ruolo del cieco è tutt'al più quello di un cantore. E poi avanti avanti verso di noi nella storia, mendicanti, o tutt'al più cantanti. Insomma, c'è poco da fare.
Nonostante le lotte, nonostante l'impegno, l'intelligenza e la forza di volontà, la natura ci relega ai dei ruoli ben definiti e ci impone il vincolo della dipendenza dagli altri. è pur vero, che il vivere dell'uomo è interdipendente, ma per noi questa condizione è davvero predominante. E cosa tra l'altro ieri in un bellissima giornata di sole, trascorsa tra Mantova, e Grazie di Curtatone, un pittoresco, quieto e delizioso borgo sulla riva del lago Superiore, dove le mie sensazioni non potevano che essere diverse e più limitate di chi vedeva, ho avuto un momento di felicità nel tempo trascorso a tavola alla Locanda delle Grazie deliziandomi a pieno del sapore di un piatto con un cestino di gelato di parmigiano adagiato su un letto di prosciutto. E poi il riso alla Mantovana con il tastasal e i ravioli di zucca. Buono il vino, e la cecità era veramente assente. amabile e bella la conversazione con Claudio, il nostro generoso anfitrione, che sapeva di tutto, e ci guidava nel conoscere una terra ricca e generosa dove mio padre non ancora diciottenne, reclutato a Luglio del 43, era costretto a diventare soldato e solo dopo due mesi, caricato sul vagone ferroviario, prendeva la via della Russia per vivere due anni terrificanti da prigioniero. La visita al Santuario delle Grazie coi tanti ex voto, segno di fede e dell'incombenza sull'uomo dell'irrazionale, del soprannaturale, dove io tuttavia perché cieco, ho potuto solo godermi di una deliziosa frescura e di un racconto.
Lasciato a malincuore Claudio, eccomi di fronte l'altro paradigma della sfiga: Sergio, quel grande amico da tanto tempo, costretto da quarant'anni su una sedia rotelle, ma ciò nonostante anche lui irriducibilmente aggrappato alla vita, alla pittura e quell'infinito amore per le donne.
Sergio mi fissa coi suoi occhi intelligenti e pieni di immagini luminose e come sempre prova compassione del mio buio. Non posso negare che un pochino lo invidio: perché nonostante tutto lui è là da solo col suo monovolume, ci racconta dei suoi ultimi lavori pittorici, e dell'incontro con Sgarbi. Io ostento sicurezza e quasi in un gioco delle parti battendogli sulla spalla, gli sussurro: "no, Sergio, se dovessi scegliere, preferisco essere come sono anziché come te" "anch'io" mi raggela lui, "visto che la differenza tra me tetraplegico e tra te cieco è che tu ti puoi trastullare con le mani mentre io ho la gioia di riempirmi gli occhi del mondo. Non ho argomenti per replicare. E' proprio come raccontavano da millenni nella Bibbia: la cecità è davvero l'handicap peggiore ed ecco che allora dobbiamo far ogni cosa per esorcizzarla se è possibile questa condizione e cercare di trovare degli acuti esistenziali per dimenticare ogni tanto di essere stati davvero maldestinati dalla sorte.
Davide Cervellin
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